Roma, 2 apr. – “Possiamo iniziare ad avere una visione meno catastrofica dell’autismo. Naturalmente non sempre, perché credo ci siano ancora tante cose che dobbiamo imparare. Stiamo osservando sempre di più che tutti i bambini raggiungono un miglioramento, possono essere adattati maggiormente al mondo e che per alcuni di loro ci sono veramente delle possibilità di un inserimento normale nel mondo esterno”. Lancia un messaggio sereno e rassicurante Magda Di Renzo, responsabile del Servizio Terapia dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), in occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo 2020 che si celebrerà domani in tutto il mondo.
Di Renzo ha recentemente pubblicato il libro ‘Autismo Progetto Tartaruga. L’approccio evolutivo-relazionale a mediazione corporea’ (Magi edizioni), in cui sistematizza il modello DERBBI dell’IdO (Developmental Emotional Regulation and Body-Based Intervention), per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico. “È il racconto di quello che facciamo con i bambini- chiarisce la terapeuta- è la spiegazione del nostro metodo evolutivo, basato sulla relazione e la regolazione emotiva, la cui specificità è l’utilizzazione della dimensione corporea. Noi accompagniamo i nostri bambini, che fortunatamente arrivano sempre più piccoli nel nostro servizio, sostenendo i genitori affinché possano imparare ad entrare in comunicazione con i figli, che hanno tante atipie nella loro interazione con il mondo. È il risultato di moltissimi anni di lavoro, di un’esperienza quarantennale con l’uso di questo modello che si è concretizzato nella creazione del Progetto Tartaruga che ormai data oltre quindici anni- ricorda Di Renzo- e che vede la partecipazione di un’equipe multispecialistica sia nella fase di valutazione, che in quella terapeutica”.
Il libro spiega, fondamentalmente, come sono gestiti i primi quattro anni di terapia. “Abbiamo parlato dei possibili risultati che raggiungiamo con un determinato gruppo di bambini, ovvero con quelli che hanno mostrato dei segni predittivi. Il nostro appello è che anche altri possano trovare segni predittivi in altre forme di autismo. Noi con questo gruppo di bambini- continua Di Renzo- abbiamo raggiunto dei risultati interessanti, già pubblicati a livello internazionale. La precocità dell’intervento sta rendendo possibile dei cambiamenti in tempi più brevi rispetto a quanto accadeva in precedenza. Naturalmente- puntualizza la studiosa- anche i bambini che escono dalla diagnosi Ados di autismo – aspetto su cui stiamo portando avanti un grande lavoro di follow-up relativo agli outcome positivi, in modo da seguire questi minori nelle loro atipie – hanno delle manifestazioni totalmente diverse l’uno dell’altro. Alcuni stanno particolarmente bene, altri hanno bisogno ancora di essere accompagnati, soprattutto in percorsi psicologici. In entrambi i casi hanno tutti raggiunto dei buoni livelli nell’organizzazione cognitiva”.
Nei bambini seguiti all’interno del Progetto Tartaruga “abbiamo potuto valutare se esistono dei predittori del processo di empatia emotiva e della intenzionalità, esaminando la presenza del contagio emotivo e del possibile sviluppo futuro della costruzione della teoria della mente. Un altro elemento interessante- nota l’esperta- è che nella valutazione cognitiva questi bambini mostravano un ragionamento fluido maggiore di quello invece legato alle prestazioni. Il ragionamento fluido non è condizionato dagli apprendimenti- spiega Di Renzo- quindi, laddove era più elevato, diventava un predittore. Effettivamente, in una percentuale statisticamente significativa, questi bambini sono usciti dalla diagnosi Ados”.
Di Renzo, per non creare equivoci, ripete e sottolinea che “uscire dalla diagnosi Ados di autismo è una cosa molto importante. In letteratura si sta parlando della possibilità di outcome positivi non legati solo, come si diceva in passato, a diagnosi sbagliate ma a delle possibilità nuove che si stanno aprendo. Ora credo che l’impegno della ricerca e della clinica sia quello di capire cosa succede a questi bambini che escono dalla diagnosi Ados, ovvero qual è la loro possibile evoluzione”.
Questo libro, quindi, non solo ha sistematizzato l’approccio che l’IdO porta avanti nel trattamento dei disturbi dello spettro autistico, ma spiega anche la batteria di test che l’IdO ha messo a punto per la valutazione dei disturbi dello spettro autistico. Si chiama T.U.L.I.P. (TCE, UOI, Leiter-R as Indicators of Predictivity) e indaga le abilità intellettive (attraverso il test Leiter-R), relazionali (con il test sulla capacità di comprendere le intenzioni altrui – UOI – Understanding of intention) ed emozionali (Tce: Test del contagio emotivo) dei bambini con autismo. “È il risultato del grande impegno di tutta l’equipe multidisciplinare- puntualizza Di Renzo- sono presenti neuropsichiatri, psicoterapeuti, logopedisti della riabilitazione, osteopati e neurologi. È il frutto di una sinergia di tutti, perché diamo una grandissima importanza alla fase di valutazione iniziale. Come ci ricorda il Dsm-5, ci troviamo di fronte agli autismi e non più a una sindrome unica- spiega la responsabile dell’IdO- siamo lungo un continuum di gravità. È fondamentale, nella fase iniziale, fare una valutazione molto attenta del singolo bambino, per mettere a punto e focalizzare i suoi deficit ma, anche e soprattutto in ambito terapeutico, per mettere in evidenza le sue potenzialità”.
La batteria di test “ci ha permesso di vedere i predittori e ci ha incoraggiato a lavorare sempre più e sempre meglio sulle potenzialità presenti”. È un lavoro molto importante anche per i genitori, “perché per loro non ha rappresentato solo una speranza infondata- sottolinea Di Renzo- ma il potersi basare su dei dati presenti, incoraggiandoli. Sapere di confrontarsi con un bambino che ancora non ha raggiunto un adeguato livello cognitivo, ma che ha delle potenzialità cognitive, permette di rapportarsi con lui in maniera diversa: mi attiverò molto di più se penso che capisce- chiarisce la psicoterapeuta- così come mi atteggerò diversamente a livello emotivo se sento che questo bambino, che in realtà è sopraffatto dalle sue emozioni, ha bisogno di essere contenuto. Si credeva una volta che il bambino autistico non avesse un’adeguata empatia, che non avesse una capacità di vivere le emozioni- ricorda la terapeuta- oggi invece sappiamo che la sua difficoltà nel costruire l’empatia è determinata proprio dal fatto che lui è sopraffatto dalla dimensione affettiva. Sapere questo significa avere strumenti migliori, ecco il grande lavoro che facciamo con i genitori. Questi lavorano con noi nella stanza non dal punto di vista educativo- conclude Di Renzo- li sosteniamo e conteniamo emotivamente, affinché possano incontrare il loro bambino secondo le sue modalità”.