I disturbi dello spettro autistico (ASD) sono generalmente considerati condizioni permanenti, caratterizzate da deficit nella comunicazione, nelle relazioni sociali e nelle capacità adattative (Piven, Harper, Palmer, & Arndt, 1996). Tuttavia, negli ultimi decenni alcune ricerche hanno indicato come una percentuale di soggetti che varia dal 3 al 25%, a seconda degli studi, non rientri più nei criteri diagnostici dell’autismo a distanza di diversi anni dalla prima diagnosi (Fein et al., 2013; Howlin, Goode, Hutton, & Rutter, 2004; Szatmari, Bartolucci, & Bremner, 1989; Cederlund, Hagberg, Billstedt, Gillberg, & Gillberg, 2008; Helt et al., 2008; Anderson et al., 2014).
In uno studio di follow-up, Kelley, Naigles & Fein (2010) hanno evidenziato che bambini con optimal outcome, di età compresa tra 8 e 13 anni, sono risultati comparabili a quelli con sviluppo tipico su tutte le abilità linguistiche e hanno mostrato vulnerabilità psichiatriche solo nel dominio della regolazione attentiva. Gli autori hanno comunque osservato residuali difficoltà nella teoria della mente e nella capacità di narrazioni (Kelley, Fein & Naigles, 2006). Anche altri autori, che si sono occupati di bambini più piccoli con optimal outcome (dai 5 ai 9 anni), hanno trovano tra le difficoltà residue solo alcuni aspetti delle componenti pragmatica e semantica del linguaggio, mentre le capacità grammaticali risultavano intatte (Kelley et al., 2006; Tyson et al., 2014; Irvine, Eigsti e Fein, 2016).