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I disturbi del linguaggio sono il motivo di consultazione più comune nei bambini da 0 a 3 anni

Logopediste IdO: L'approccio sia globale, lo specialista deve ampliare le conoscenze
Sopra Paola Vichi, a destra Gianna Palladino

“I disturbi del linguaggio rappresentano il motivo di consultazione più richiesto e più comune nei primi anni di vita di un bambino”. Lo dice chiaramente Paola Vichi, psicoterapeuta e logopedista dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), nel corso del suo intervento in occasione della prima giornata precongressuale dell’Istituto interamente in live streaming sul sito Ortofonologia.it.

“Sarebbe opportuno effettuare una valutazione se a due anni e mezzo un bambino non usa ancora il linguaggio o si esprime con pochissime parole. Spesso il pediatra è un po’ attendista- sottolinea Vichi- ma al momento cruciale del passaggio all’asilo capita che il genitore si renda conto del ritardo attraverso un confronto con gli altri bambini, oppure sono le maestre a segnalare il caso”. Ciò che conta per l’IdO è, in ogni caso, adottare un trattamento globale e integrato ai disturbi del linguaggio: “Il lavoro deve tenere conto dell’evoluzione del bambino e della sua storia per integrare le componenti dello sviluppo senza parcellizzare l’intervento sulla sola tecnica logopedica. Il rischio altrimenti- avverte Vichi- è di fare un lavoro rivolto solo al sintomo, che poi non è risolutivo. Inoltre- aggiunge- non bisogna avvalersi di metodi e programmi predefiniti, ma puntare sulla specificità di ogni bambino”.

Quando si può parlare di un disturbo evolutivo del linguaggio? “Quando si riscontra un ritardo importante nell’acquisizione del linguaggio rispetto ai tempi normali- precisa ancora Vichi- oppure se questa acquisizione è molto rallentata e se non struttura bene la frase. Caso diverso se la struttura organizzativa è buona, ma c’è una difficoltà legata ad una corretta pronuncia”.

Restando in tema di disturbi del linguaggio trattati all’interno di un approccio terapeutico sempre rispettoso della complessità dello sviluppo, Gianna Palladino, logopedista e psicomotricista IdO, porta come esempio la storia clinica e riabilitativa di un bambino: “È un caso complesso di tretraparesi- racconta- in cui c’è l’assenza di linguaggio verbale e l’impossibilità nel raggiungerlo. Una storia che offre lo spunto per parlare di un lavoro sulle competenze prodromiche della comunicazione, sull’integrazione sensoriale e sulla mediazione corporea che da sempre è stata la modalità di intervento dell’IdO. Questa storia clinica permette quindi di puntualizzare il lavoro sull’integrazione sensoriale, la regolazione emotiva e attentiva quali elementi su cui innestare una comunicazione di senso, anche in assenza della competenza linguistica”.

Ecco che la sfida terapeutica a cui la complessità “ci chiama come specialisti- prosegue Palladino- è la costruzione di un sistema dove non esiste solo la linearità tra le interazioni degli elementi, come siamo abituati a pensare, ma anche tutte le variabili che possono incidere su uno o entrambi i protagonisti della relazione terapeutica e/o sul processo patologico della condizione affrontata: la complessità genera complessità”. In questo senso l’attenzione allo spazio terapeutico è rivolta in un’ottica ecologica, perché è visto “come luogo in cui abilitazione e riabilitazione di una o più funzioni diventano non solo obiettivo- chiarifica la logopedista IdO- ma anche passaggio indispensabile per il raggiungimento del livello di adattamento del singolo bambino e del rispetto della sua dignità e di quella della famiglia. Lo specialista, di fronte alla complessità, ha il dovere di mantenere un rigore metodologico e di ampliare costantemente la propria conoscenza per potersi permettere la flessibilità che l’incontro con l’Altro – ogni volta diverso – richiede”, conclude Palladino.