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La psicologa: Gli hikikomori si ritrovano nei personaggi manga

Ingrassia (Cipa): E' un luogo narrativo dove le proiezioni del disagio hanno possibilità

Esiste una correlazione tra la lettura dei manga e il fenomeno degli hikikomori. “I manga sono annoverati tra le letture scelte da tutta la nostra nuova generazione da almeno dieci anni. I personaggi dei manga ripropongono in chiave post moderna le caratteristiche delle antiche tragedie greche, in cui c’è il male e il bene. Come frutto di una cultura orientale, tendono a integrare e non a scindere, così ogni personaggio dei manga contiene entrambe le dimensioni: la luce e l’ombra, nonché una tendenza a vivere le emozioni in modo molto amplificato”. Lo fa sapere Rosy Ingrassia, psicologa analista del Cipa Istituto Meridionale e membro del progetto ‘Ritirati ma non troppo’, l’iniziativa dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) partita in pieno lockdown con gruppi di supporto psicologico totalmente gratuiti per le famiglie, ma non solo. Ingrassia, infatti, sempre nell’ambito del progetto IdO, fa parte anche del gruppo di ricerca sulla psicopatologia .

“Probabilmente gli occhi sgranati con la fissità dello sguardo dei personaggi manga- prosegue Ingrassia- indicano proprio una costante paura generata dalla propensione degli adolescenti ad aprirsi a un mondo che non sanno sempre decodificare. Mi sembra che sia proprio un luogo narrativo, in cui le proiezioni del disagio trovano uno spazio fertile, una possibilita’”.

Gli aspetti d’ombra negli hikikomori riflettono soprattutto il sentimento della vergogna, profondamente cambiato negli anni. “La mia generazione ha fatto molto i conti con questo sentimento, che prima era legato al pudore e alla presenza di un eccesso del limite. Lo dico come donna- confessa la psicoanalista- perché tanti confini non potevano essere rotti, per cui quando inducevi a scompaginare qualche copione là subentrava la vergogna. Oggi, invece, è esattamente il contrario: la vergogna è spostata sul piano performativo e fa i conti con l’assenza del limite”. È indotta da una “società che fin dai primi anni di vita spinge i soggetti ad essere efficienti, efficaci e di successo. Nessuno più ascolta le emozioni dei bambini, che fanno fatica a trovare una possibilità di concentrazione sulla paura di confrontarsi con la scrittura, ad esempio, se pensiamo ai piccoli delle prime elementari. Chi ascolta gli adolescenti?- chiede ancora la terapeuta- che non sanno nemmeno quale indirizzo scolastico prendere”.

Il gruppo di ricerca si è interrogato sul possibile rapporto che esiste tra alcune condizioni dell’infanzia e poi le eventuali traiettorie evolutive che si possono sviluppare lungo il percorso di crescita, in riferimento al ritiro sociale: “Il filo continuum dell’hikikomori è certamente una disregolazione emotiva- chiarisce la studiosa- cioè l’impossibilità-incapacità di gestire il bagaglio emotivo che l’adolescente si ritrova ad avere dentro. Certamente il mutismo selettivo può essere già un prodromo di questa condizione, cosi’ come le fobie scolari. Mi riferisco a quei bambini che già mostrano i mal di pancia perché non vogliono andare a scuola, soffrono crisi di ansia da separazione quando è il momento di doversi allontanare dalla figura materna o dalla figura di accudimento”.

Sembrerà paradossale,  ma sono a rischio anche i soggetti con plusdotazione: “Questi ragazzini vengono penalizzati sul processo di adattamento, e siccome il ritiro sociale nasce proprio come evitamento di un adattamento che non riesce ad essere trovato, pure i minori plusdotati, nel passaggio che c’è tra le medie e i primi anni delle superiori, o un po’ più avanti negli ultimi anni delle scuole superiori, corrono il rischio di fare questa scelta di evitamento, cadendo nell’isolamento sociale”.

A livello terapeutico, “la difficoltà maggiore con questi soggetti consiste nel trovare una regolazione affettiva nella relazione”. È un lavoro sulla fiducia, ma “non su quella che hanno trovato e perduto. Sto seguendo un ragazzo che ha questa condizione clinica- conclude Ingrassia- e posso confermare che non è una fiducia che prima avevano e che poi hanno perduto, non è un processo di riparazione, è un processo di costruzione dove la fiducia la devi ricostruire. A volte la costruisci stando in ascolto, evadendo qualsiasi tipo di lettura e interpretazione, che non va proprio fatta perché non c’è lo spazio”.