“I disturbi mentali sono tra le prime 5 cause di disabilità nel mondo e già prima della pandemia le proiezioni raccontavano che nel 2030 la depressione avrebbe raggiunto il secondo posto, se non addirittura il primo. Oggi alcuni studi hanno dimostrato che fino alla metà delle persone che vivono nei Paesi esposti alla pandemia hanno sviluppato disturbi o sintomi depressivi, fino a un terzo della popolazione ha disturbi d’ansia significativi, inclusi anche disturbi fobici o ossessivo compulsivi legati ai temi del contagio. Il 10-15% della popolazione ha poi sviluppato disturbi da stress post traumatico”. A raccontarlo è Marco Piero Piccinelli dirigente medico presso la S.C. Psichiatria Verbano, ASST Sette Laghi, promotore del convegno ‘Psicopatologia della pandemia da Covid-19’ in programma il 26 novembre a Varese.
L’evento ha l’obiettivo di definire lo scenario psicologico introdotto dalla pandemia, esaminando inizialmente gli effetti e le manifestazioni ad essa associate, con particolare riferimento ai concetti di stress e trauma e alla fascia di età giovanile. “La pandemia da Covid-19 si è venuta a costituire come una minaccia nuova e imprevista, che ha fortemente influenzato la qualità di vita e lo stato di salute delle persone, stimolando svariate risposte di natura fisica, psicologica e comportamentale- sottolinea Piccinelli- Accanto alla preoccupazione per la salute, al timore del contagio, al cambiamento degli stili di vita e alle ripercussioni di carattere socio-economico, l’eccezionalità e la straordinarietà della pandemia hanno contribuito a disarticolare e alterare la linearità della comune esperienza e le relative aspettative, contribuendo all’insorgenza di svariate problematiche psicologiche, di differente natura e gravità, quali le sindromi da disadattamento, i disturbi affettivi e anche le psicosi (laddove tematiche connesse con la pandemia hanno costituito il tema di specifici deliri). La fascia d’età giovanile si è rivelata particolarmente vulnerabile agli effetti della pandemia e, per essa, sono stati ripetutamente sollecitati interventi appropriati e tempestivi”. Tutto questo si inserisce in un quadro generale che “già prima della pandemia vedeva la psichiatria operare in uno scenario molto impegnativo- sottolinea il medico- con una prospettiva che proiettava i disturbi mentali in crescita, prospettiva che oggi è stata certamente accentuata”.
Il Convegno vuole aprire la riflessione sugli effetti della pandemia intesi in termini traumatici. “Oggi c’è una discussione aperta sulla cosiddetta ‘moral injury’, il dolore morale, una categoria che è stata mediata dagli studi sulle conseguenze traumatiche della guerra nei combattenti- spiega Piccinelli- e che adesso viene riproposta perché uno dei paragoni più ripetuti durante il periodo clou della pandemia era che fossimo in guerra in quanto le restrizioni a cui eravamo sottoposti potevano ricordare quelle del periodo bellico. La moral injury- continua lo psichiatra- è l’effetto delle ripercussioni che avvengono in una persona a livello psicologico, comportamentale, sociale e spirituale quando si trova esposta a una serie di modificazioni significative dei propri stili di vita e dei propri valori e quindi perde dei riferimenti fondamentali e, con essi, stabilità e sicurezza. Questa sembrerebbe una categoria di persone in crescita ma che se non individuate adeguatamente rischiano di sfuggire perché non rientrano in una categoria diagnostica definita (come i disturbi da stress post traumatico o dell’adattamento) e senza una diagnosi il rischio è che non ci sia neanche un trattamento”.
Questo odierno scenario generale si scontra, però, con un a forte carenza di personale. “Oggi, sempre facendo il confronto con il periodo della guerra, viene sottolineata da più parti l’importanza di parole come ripresa e resilienza, ci si aspetta che le persone riprendano il controllo delle proprie vite e si vada verso un nuovo boom economico. Ci si dimentica, però, che ci troviamo in un momento in cui una stragrande quantità di persone avrà e ha delle problematiche psicologiche e sono sempre meno, almeno nell’ambito della sanità pubblica, i professionisti che se ne possono prendere cura. In questo momento in Italia c’è una forte carenza di personale che lavora nella salute mentale, ci sono stati molti pensionamenti, e ci vorranno almeno dieci anni prima che nella sanità possa essere introdotta nuova ‘linfa’. E’ un momento critico: la richiesta aumenta e il personale è ridotto ai minimi termini”. Anche questa sarà una riflessione che verrà affrontata durante il Convegno insieme a quella che riguarda lo scenario internazionale. “L’Organizzazione mondiale della sanità si è resa conto che solo il 28% dei Paesi membri ha dei programmi specificamente dedicati alle conseguenze psicologiche e psicosociali delle pandemie e dei disastri- conclude Piccinelli- la prospettiva per il 2030 è di arrivare all’80%. Sono obiettivi nuovi introdotti proprio alla luce della pandemia da Covid-19 e di tutto quello che si è portata dietro”.