L’onda lunga della pandemia prosegue: l’emergenza sanitaria è diventata un’emergenza psicologica tra i bambini e gli adolescenti e porta con sé un forte aumento di depressione, ritiro scolastico e sociale, idee suicidarie e autolesive. L’Organizzazione mondiale della sanità ha definito la pandemia da Covid-19 “la peggior situazione immaginabile per la violenza familiare”, mentre i disturbi del comportamento alimentare, da marzo 2020 in poi sono cresciuti del 36%. La domanda di aiuto psicologico da parte di bambini e adolescenti con questi problemi è destinata dunque a crescere nei prossimi mesi. Tuttavia, entrare in relazione con soggetti dal vissuto tanto complesso non è semplice, neanche per gli psicoterapeuti. All’interno dei percorsi psicoterapici, il metodo del ‘Gioco della Sabbia’ si conferma un valido aiuto che facilita il percorso terapeutico.
“Il gioco della sabbia- spiega Francesco Montecchi- neuropsichiatra, analista junghiano e socio fondatore dell’Associazione Italiana SandPlay Therapy (AISPT)- è una originale applicazione del pensiero e della pratica junghiana alla psicoterapia dei bambini. I suoi presupposti teorici e tecnici sono riproponibili anche con gli adulti che possono così rivisitare epoche arcaiche della propria vita, dare un senso alle origini del proprio disagio, che è molto difficile raggiungere solo con l’analisi verbale. Il gioco della sabbia infatti si integra con l’analisi verbale e con quella dei sogni, facilita il contatto con le immagini interne, attiva il confronto tra conscio ed inconscio attraverso l’analisi dei quadri che il paziente costruisce”.
Come funziona il gioco della sabbia? “Il materiale- spiega l’esperto- consiste in una stanza con degli scaffali in cui sono ordinati, secondo le varie categorie, numerosi oggetti in miniatura: esseri umani, animali, elementi paesaggistici; case ed altri edifici, mezzi di trasporto. Questo materiale viene usato dal paziente dentro cassette di sabbia di dimensioni stabilite (cm.57x72x7), con fondo blu. Dentro questo spazio, il paziente ha la più completa libertà di fare quello che vuole, utilizzando il materiale disponibile e la sabbia, per dar forma ad una costruzione scenica, rappresentazione dei contenuti inconsci. L’importante è che il tutto avvenga all’interno della sabbiera. Queste rappresentazioni vengono poi rilette e interpretate, come fossero un sogno a tre dimensioni, lungo il percorso analitico”.
Il gioco della sabbia, chiarisce l’analista junghiano, “continua a essere privilegiato nella terapia con i bambini perché più che parlare loro agiscono e il loro agire, a partire dalla scelta degli oggetti, è la rappresentazione delle loro emozioni, dei loro pensieri che rendono visibili attraverso la rappresentazione scenica del gioco della sabbia”.
Perché la sandplay therapy risulta efficace nel caso di bambini e adolescenti con un passato di violenze o con disturbi del comportamento alimentare? “I bambini abusati- spiega il neuropsichiatra- sono sospettosi e temono che il terapeuta minacci l’apparato difensivo, che hanno costruito per difendersi dalle emozioni, e li porti così a toccare il dolore. I pazienti con disturbi del comportamento alimentare, che nella maggior parte dei casi sono ragazze, sono sospettosi nelle relazioni, hanno timore di stabilire un rapporto di dipendenza. Le anoressiche soprattutto, che sono delle affamate che rifiutano il cibo per non esserne dipendenti, non accettano di riconoscere di avere bisogno e di essere dipendenti da qualcun altro, oltre a temere che il terapeuta sia il ‘braccio armato’ dei genitori per costringerle a mangiare. In questi casi- prosegue Montecchi- la relazione terapeutica può essere un po’ sfumata proprio grazie alla cassetta della sabbia, che è un’area transizionale che soprattutto le adolescenti hanno la sensazione di controllare perché costruite con le loro mani. Invece, proprio con le mani, danno voce al loro disagio, ai loro bisogni e non solo, indicano anche la soluzione, della direzione in cui andare. Jung diceva che le mani possono parlare più rapidamente delle parole e consentono di descrivere cose che non sono verbalizzabili. Nel caso dei bambini, il gioco della sabbia consente l’attivazione delle proprie risorse e attraverso questa attivazione c’è la riparazione dei danni psicologici che hanno sperimentato nel corso della loro crescita”.
Francesco Montecchi utilizza il gioco della sabbia nella sua attività di terapeuta e analista junghiano da moltissimi anni e ha imparato questo metodo direttamente dalla sua ideatrice, l’allieva di Jung, Dora Kalff. Nel 1993 pubblicò un primo volume nel quale, proprio su richiesta di Dora Kalff, riassunse tutto quello che si dicevano durante gli incontri formativi sul gioco della sabbia. Dopo 28 anni, ha deciso di rinnovare questa pubblicazione, mantenendo gli argomenti che la Kalff gli dettava e gli argomenti dei suoi seminari e i casi analizzati insieme, ma arricchendola e aggiornandola con le nuove teorie e i risultati della molta ricerca fatta in questo campo negli anni.
Ne è nato così il volume ‘La psicoterapia con le immagini. Il gioco della sabbia’, edito da Franco Angeli.
Noto ormai da oltre 40 anni, il gioco della sabbia è molto diffuso, prevalentemente tra i terapeuti di scuola junghiana. “Questo perché- chiarisce Montecchi- l’utilizzo del gioco della sabbia necessita di una impostazione junghiana che indica in che modo la cassetta e gli oggetti si inseriscono nella relazione terapeutica e fornisce gli strumenti per analizzare le rappresentazioni costruite nella cassetta della sabbia. Ci sono all’interno delle scuole di specializzazione analitiche dei corsi di formazione specifici sulla terapia col gioco della sabbia e i terapeuti che li scelgono devono prima di tutto fare un percorso di analisi personale con questa metodologia. Nel mondo junghiano- aggiunge l’esperto- il gioco della sabbia è molto diffuso. In Svizzera, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone e sta arrivando anche nell’Est europeo”.
La recente pubblicazione di Montecchi sul gioco della sabbia è stata al centro dell’ultimo ‘Venerdì culturale’ dell’IdO. “Nell’incontro- tiene a sottolineare l’autore del volume- sono intervenuti anche terapeuti di orientamenti teorici diversi da quello junghiano che hanno espresso il loro interesse per questa metodologia, in cui chiavi di lettura poggiate su basi teoriche di diversi orientamenti potrebbero essere un ulteriore arricchimento”, conclude.